IL MOVIMENTO NOVAX E I MECCANISMI DI DIFESA

IL MOVIMENTO NO VAX E I MECCANISMI DI DIFESA

I meccanismi di difesa, tradizionalmente studiati in psicologia, sono dispositivi psicologici inconsci e consci volti a neutralizzare gli ‘attacchi’ all’Io di eventi, stressor di vario genere a forte valenza emotiva.

È il caso della pandemia in corso, che ha imposto il tema della morte per malattia, esperienza vissuta da tutti, a cui si è risposto con le più varie spontanee maniere, spesso usando modi antichi, rituali che sono stati assimilati a primitive simboliche manifestazioni collettive, ricche, di simbolismi anche archetipici (come la religio) e con lo stesso identico leitmotiv: la guarigione collettiva, la fine della pandemia.

L’analisi dei comportamenti di massa, quindi socialmente accettati, porta all’evidenziarsi di come si reagisce a una situazione di emergenza, non solo esistenziale ma di certo impatto psicologico.

Qui una chiara esposizione della dott.ssa Laura Pirotta sui meccanismi di difesa secondo Anna Freud, figlia di Sigmund il quale scrisse dei meccanismi di difesa individuando nella rimozione il primo e più noto meccanismo di difesa dell’inconscio. Oggi si ritiene che le forme individuate da Anna Freud e da chi ne scrisse in seguito convergano tutte nella rimozione.

Essendo un’esperienza comune sia la morte che i meccanismi di difesa, guardando il video ognuno potrà rilevare i tratti psicologici dominanti in questa esperienza di ogni manifestazione correlata ai vaccini, ai pass e tutto ciò che riguarda l’epidemia a diffusione pandemica, che rimane un’esperienza collettiva in ogni sua espressione. Compresa la parte novax o sivax che aleggia in ciascuno di noi.

Edward Jenner nel 1798 introduce il vaccino antivaiolo, il primo vaccino efficace mai sviluppato. Poco dopo, dai primi dell’ ‘800 si diffondono le idee anti-vaxxer in Gran Bretagna.

 

La popolazione mondiale ha reagito, con tono maggioritario, rispettando le tabelle di marcia imposte dalla vaccinazione di massa. E da un comportamento sociale (mascherine, assembramenti) adeguato. Questo accade nei paesi con disponibilità di vaccini in quantità adeguata.

Ho passato le vacanze in una regione in zona gialla domandandomi come il fatalismo storico dei siciliani si potesse spingere fino a quel punto: vengono sistematicamente snobbate le mascherine e gli assembramenti sono il quotidiano.

Un medico novax su tre è ancora in servizio.

L’influenza dei novax ‘duri e puri’ è, però, poco influente sulla campagna vaccinale: pesano gli anziani irraggiungibili e gli spaventati dagli effetti collaterali del vaccino. La morte, invece, non li spaventa e neanche il ricovero in reparti ‘estremi’.

In Cina non c’è l’obbligo e tutti vogliono evitare l’infezione: i giovani, più esposti al rischio di infettarsi e di infettare, sono i primi a essere vaccinati. Gli anziani stanno sempre chiusi in casa, quindi il rischio di diffusione del contagio è nullo.

Nei paesi scandinavi neppure: i tassi di vaccinazione ‘spontanea’ sono dell’ordine del 95%. Il senso di appartenenza a una comunità spinge nella direzione del bene collettivo.

In Italia si è scelta la strategia del green pass, cioè spingere verso la vaccinazione o un tampone recente per ottenere di vivere una vita pressoché normale.        

È evidente che è un metodo per spingere i bizzosi e gli ansiosi a vaccinarsi ed è più efficace di un obbligo che genererebbe ostinazioni verso tutto ciò che non è vissuto come necessario e non è stato spiegato. Quest’ultima argomentazione è espressa, anche se con poca enfasi, da tutti i partiti, anche se con poca enfasi. E non a torto. Chi infatti ha un piano didattico pronto per le scuole medie di introduzione dell’immunologia? E con che qualifica? Chi sono gli immunologi disponibili a questo sul mercato? La memoria immunitaria è un evento conservativo o progressista? O tutt’e due?

L’unica via è, almeno, far sì che i tamponi siano accessibili a tuti a spese dello Stato. Qui tre sensati motivi per cui i tamponi non possono essere assimilati all’insulina, che va assunta quotidianamente e che viene pagata dalla collettività. Segue una dissertazione di maniera sui limiti dell’approccio individualistico e la sua tutela.

Che il senso del tempo si modifichi, in corso di malattia, è cosa nota. C’è però da osservare l’andamento virale degli accadimenti, quasi ci fosse stata un’infezione pragmatica.

Nel giro di un mese in Afghanistan si conclude l’intervento armato degli americani, con modi discutibili e senza alcuna strategia su come concludere l’occupazione il cui avvio data dal mese di maggio 2021. I Talebani, dopo aver conquistato militarmente tutte le province (11 giorni) entrano in Kabul il 15 agosto, insediandosi in tutte le sedi istituzionali e del potere, allontanando tutti i funzionari ‘collaborazionisti’. A due mesi dalla presa del potere potranno sopperire alle carenze dovute all’inverno e all’isolamento di fatto solo grazie ad aiuti internazionali, questa volta annunciati con apparente tempismo,

Così una generazione di afgani è nata e vissuta sperimentando lo stile di vita occidentale, la scuola la musica, lo sport accessibili, in più, anche alle donne. D’un tratto, cambia tutto: dai vestiti delle donne alle scuole; e non solo. La misoginia talebana impone che le donne non debbano più lavorare ma debbano stare in casa a fare figli e vestano il burka. Scuole rigorosamente divisa fra maschi e femmine. Il lavoro svolto da donne è sostituito da uomini

Il paese viene abbandonato a qualunque costo da chi teme rappresaglie per il lavoro svolto per gli occupanti occidentali e da chi vuole vivere una vita serena e senza violenza. Chi rimane, non ha le competenze per ‘mandare avanti’ il paese.  In più sarà inverno e si paventa una carestia di generi alimentari che si va ad aggiungere alla pandemia di COVID.

Questo episodio è raccontato perché all’osservatore è palese che la malattia non riguarda solo un aspetto medico individuale ma si estende a più comparti della vita, su cui si pone l’accento in modo spesso grottesco (stelle di David e svastiche esibite fuori luogo), isteroide (convegni sportivi che vengono narrati come focolai infettivi e che poi si rivelano tali, con le scontate eccezioni), in modalità prevenire è meglio che curare (filosofi e docenti universitari che sentono la necessità di buttarsi nel tritacarne mediatico dei favorevoli e contrari. Speriamo che lo facciano per soldi). 

Riappare il problema dei cambiamenti climatici, questa volta, però le notizie sono più fitte. E non disdegnano di citare i responsabili, professando le responsabilità personali ed esortando a prendere provvedimenti.

Tutto manifesta le rispettive criticità, dal clima alla democrazia alle differenze sociali: si fa un discorso sulla povertà. Dalle favelas la ormai consueta denuncia dei metodi della polizia, che ha mietuto più vittime del virus. Però c’è chi se ne sta occupando.

In TV ora si vede come i quartieri del disagio mondiale hanno affrontato la pandemia: a un certo punto ci sono, nel mondo, 3.5 miliardi di persone in lock down. Gran parte di questi, se non escono di casa muoiono. Ma se riescono a intercettare un aiuto, cambia. Un po’. Sennò, rifiuto della scienza, negazionismo e posizioni surreali la fanno da padroni.

Alla velocità della luce.

La pandemia ha cambiato molto.