Un cerusico con l’imbuto in testa toglie la pietra del male assistito da una suora con un libro in testa e un frate che ha pronta in mano la boccetta con l’olio per l’estrema unzione
Si pone alla cronaca un dilemma che ha diviso e strumentalizzato il sentiment di molte persone; due diritti, entrambi tutelati dalla costituzione: il diritto al lavoro e il diritto alla salute, ivi compreso il diritto a non vaccinarsi. Quale considerare prioritario sull’altro?
Giovanni Buridano fu un filosofo francese del XIV secolo, cui è attribuito il celebre paradosso dell’asino che porta il suo nome e che altri filosofi, come ricorda Wikipedia, interpretarono considerando i parametri delle varie epoche.
Il paradosso considera un asino affamato e assetato equidistante tra due mucchi di fieno con, vicino a ognuno, un secchio d'acqua e che, non essendoci nulla che lo spinga ad andare da una parte piuttosto che dall'altra, resta fermo e muore.
Un asino, non un uomo. Soggetto a brame istintuali e non a scelte ragionate.
Qui, alla vigilia dell’obbligo della certificazione di non infettività per tutti i lavoratori, si pone una scelta analoga. Per un individuo fragile il dilemma non si pone nemmeno, ma per molti altri è come chiedere se vuol più bene a papà o alla mamma e si trova immerso, suo malgrado, in una situazione – appunto – paradossale.
Per un logico il problema si pone e si risolve, ma gli altri fanno riferimento alle leadership politiche. Silenti per l’occasione. Ma tant’è.
Strumentalizzazioni a parte, l’animo umano è stato sottoposto, per il COVID, a stress esistenziali non indifferenti: non sono pochi quelli che da due anni non percepiscono lo stipendio. D’altro, c’è chi vede la vaccinazione come il male assoluto o perché scatena ansie incontrollate o perché sanno di un piano di controllo sociale che porterà alla fine delle libertà acquisite.
Io penso che la libertà sia il contrario della malattia. Non l’opposto simmetrico ma nella sua espressione fattuale: c’è chi è vincolato da periodiche sedute di dialisi; chi dal numero di pastiglie di costosi medicinali; la salute mentale non contempla la mancanza di periodici controlli; non è semplice la vita di ultraottantenni, pur in buona salute. La vaccinazione è una tutela – a tempo – dalle conseguenze di UNA malattia infettiva. Poi ci sono le altre.
Mortali e non.
La pandemia è in via di estinzione, sua sponte o grazie ai vaccini. O perché sono morti tutti i fragili. O la maggior parte di essi.
A me piace pensare al rinascimento, il XV secolo, costruito dai figli di chi affrontò le epidemie di peste anche più volte nel XIV secolo, combattute con gli strumenti (e le truffe) dell’epoca, come l’attribuzione delle malattie a ‘pietre’ che andavano estratte a suon di scalpello L’esito era, ovviamente, fatale ma furono i pittori fiamminghi del XV secolo, la propaganda dell’epoca, quelli che li rappresentarono con esplicita ironia, ammonendo a non cedere alle lusinghe di improvvisati cerusici che, con pratiche pericolose, promettevano la salute.
Ora come allora si affina la visione razionale delle cose: social media del calibro di Facebook sono costretti a darsi un codice di tutela dell’utenza ma che trova come freno i guadagni stellari delle stesse: un post estremista attira di più l’attenzione di un gattino che mette in fuga un cane. Questo rappresenta la bulimia del profitto. Il veleno della democrazia.
La complessità può essere una risorsa, oltre che per i bulimici anche per la società morale, quella che ama confrontarsi con l’altro e non prevalere.