Cosa è cambiato e cosa cambierà.
Questo è il mantra di cui si discute da quando è iniziata la fase 3 cioè dai primi di luglio 2020.
È cambiata l’aria del pianeta. Chi vive in città o in prossimità di grandi complessi industriali ne ha avuto piena contezza. Le immagini dal satellite rendono merito di questo: le nubi di polvere che affliggevano la pianura Padana come l’area di Pechino sono sparite dopo pochi giorni di lock down.
ttitQuello che non è cambiato è stato lo spirito gregario: ognuno secondo le sue possibilità, cucendo mascherine o portando da mangiare a chi lavorava in ospedale, edificio off limits per ovvi timori di contagio; tutti sono intervenuti perché il decorso della ‘malattia di tutti’ potesse evolversi nel modo migliore. E poi, c’è chi ha pagato con la vita, il bene di tutti.
Il lock-down, odiato ma foriero di nuovi adattamenti esistenziali: la patologia psicologica si è manifestata con la depressione, accolta ed elaborata nelle comunità familiari, riformatesi per l’occasione. Non sarebbe esaustivo parlarne qui, ma il sasso è gettato: il tema della morte, nonostante sia presente SEMPRE nella vita di ognuno, è il meno affrontato (o il più evitato?) nel dibattito. culturale occidentale e solo in rare occasioni celebrato (cfr. E. de Martino, Morte e pianto rituale, Premio Viareggio 1958). Il lockdown non ha effetti positivi, ma un coté bello e brutto insieme della convivenza forzata è stato la perdita dei freni inibitori della emotività, così, come si sono avute rivelazioni inattese di affettuosità familiare, d’altro canto, il telefono rosa di sostegno a chi subisce violenza in famiglia è squillato molte volte. Più del solito. In Africa sta andando peggio, come rivela un resoconto di Atlante della Treccani: http://www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Africa_cresce_pandemia_violenza_donne.html
La scuola, coi suoi riti trasferiti d’un tratto in videoconferenza, si è data un necessario colpo di reni tecnologico, dotandosi di stazioni informatiche che, oggi, se usate con criterio, possono davvero trasformare la didattica affiancando all’imprescindibile lezione in classe un repertorio di lezioni memorizzate in digitale, che potrebbero creare un archivio di ateneo o di istituto e che ne potrebbe divenire la storia.
Lo stato sociale, ritenuto un’utopia in molti paesi europei, forse atterriti dalla lontananza geografica di paesi del nord Europa come i paesi scandinavi dove questo si è realizzato, si riprende i suoi spazi e viene reclamato da tutti di fronte all’emergenza socio-sanitaria.
L’economista francese Thomas Piketty dice, in un’intervista a corriere.it: «Diseguaglianze mai così violente, è l’ora del coraggio. La crisi del coronavirus ha fatto emergere in modo ancora più evidente la violenza delle diseguaglianze, che esisteva anche prima ma si è approfondita. Di fronte alla malattia, siamo ancora più diseguali, c’è un problema di accesso alle cure, di tagli al sistema sanitario».
E ancora: «Dovremmo tornare a investire nel pubblico, nell’educazione, nelle pensioni, e in particolare nella sanità. I bisogni della sanità provocati dall’epidemia potrebbero portare a cambiamenti politici e ideologici più profondi. Penso, per esempio, alle istituzioni europee. È il momento di passare allo stadio superiore, a pensare al debito pubblico della zona euro e a mettere in comune i tassi di interesse».
Angela Merkel, con l’Iniziativa franco-tedesca, ha rotto il tabù della messa in comune del debito. «Finalmente - commenta Piketty - in questo modo la palla è adesso nel campo dei governi dei quattro più grandi Paesi dell’Unione Europea: Germania, Francia, Italia, Spagna». Con le centinaia di miliardi che ci permetteranno di aggiornare la Sanità e orientare i servizi offerti. Con che criterio? Il criterio della ‘meritocrazia’, sostengono in molti, contrapponendola all’oligocrazia dei raccomandati.
«La meritocrazia tuttavia, nelle condizioni attuali, è una gara falsata – sostiene ancora Piketty a Sette - perché le condizioni di partenza non sono le stesse. Dobbiamo tornare a investire nella scuola, nell’università, nell’educazione pubblica, e permettere davvero al maggior numero di allievi di studiare e di formarsi in modo efficace. Poi potremo riparlare di meritocrazia».
I giovani e gli anziani sono, quindi, le categorie da curare nell’immediato: i giovani devono trovare posto nelle aziende e nelle università, che si devono adeguare alle esigenze dell’antropocene, l’era che stiamo attraversando caratterizzata dal dominio dell’uomo in quasi tutti gli ecosistemi del mondo.
Contemporaneamente, ci dobbiamo prendere cura degli anziani, falcidiati dal virus di quest’ultima epidemia; ci dobbiamo prendere cura di tante cose, a partire da quelle che ci riguardano personalmente. Cominciamo da lì e avremo il tanto atteso ed evocato cambiamento.